Può un manager trarre spunti di riflessione e apprendimento dalla vicenda di Mario Balotelli?
Sono convinto di si. Ci riguarda rispetto al tema degli alibi, dei capri espiatori, dell’illusione di poter cambiare le persone, della sindrome del salvatore della patria.
Andiamo con ordine.
La nazionale italiana di calcio è stata rapidamente eliminata dai campionati mondiali. Dopo la prima partita, vittoriosa grazie a un goal decisivo di Mario Balotelli, sono arrivate due impietose sconfitte consecutive con Costarica e Uruguay.
Dopo la decisiva sconfitta con l’Uruguay, ci si è messi subito in caccia degli alibi. Mica si può dire che la nostra nazionale fosse una squadra senza fuoriclasse, messa male in campo, senz’anima e soprattutto scarsa! No, come purtroppo d’abitudine, le cause sono state cercate "fuori da noi”.
In questo caso l’arbitro funziona quasi sempre. Ha espulso troppo frettolosamente Marchisio! si è detto. Poi quel po’ di onestà intellettuale che alberga addirittura in un tifoso, ha suggerito che nel primo tempo l’Italia è stata graziata da un rigore piuttosto solare e da una seconda ammonizione (per fallo di mano volontario) a Balotelli che ne avrebbe comportato l’espulsione. No, questa volta l’alibi-arbitro non ci sta.
E allora? che si può fare? C’è sempre la soluzione di riserva, il piano B: non ci sono alibi? Beh, ci sarà pure un capro espiatorio su cui scaricare tutte le colpe! Il nome è facile: Mario Balotelli.
Perchè proprio lui? Cos’ha fatto di così terribile per compromettere il passaggio del turno da parte della nazionale italiana? Nell’unica partita vinta ha segnato, dopo la partita con l’Inghilterra tutti hanno sottolineato la sua buona prestazione. Mica si vorrà dire che le sconfitte con Costarica e Uruguay dipendono da lui! Quando è stato sostituito l’Italia ha forse giocato meglio? No, anzi è proprio senza Balotelli in campo che l’Italia ha preso goal. E allora?
Semplice: la questione non riguarda il fatto che Balotelli abbia giocato bene o male o così così. La questione riguarda il fatto che il salvatore della patria abbia tradito.
Già. Che la nazionale italiana non fosse granché lo sapevano tutti, ma i più confidavano nelle doti straordinarie di questo giocatore. Un talento che, si diceva, se mette la testa a posto, può fare la differenza.
La realtà è che Balotelli è solo un buon giocatore. E’ stato convinto di essere un fuoriclasse da chi ha bisogno dei salvatori della patria. Ha finito per crederci anche lui, ma le persone sono come sono e vanno prese all inclusive. Con i “ah se fosse più….ah se fosse meno…” non si va da nessuna parte. Un allenatore professionista dovrebbe averlo imparato. Cinque anni fa Mourinho disse: fra cinque anni sarete qui a dire “aspettiamo che Balotelli cresca.” Profetico. Lui lo ha imparato: le persone (evidentemente compresi i giocatori) non diventano come vorremmo che fossero. Balotelli, come ogni altro giocatore, va preso con quella testa, quelle gambe, quel cuore, quella tecnica. Prendere o lasciare.
Così, se Balotelli non si è rivelato un fuoriclasse, ciò, secondo i ricercatori di alibi e capri espiatori, non dipenderebbe dal semplice fatto che Balotelli non è un fuoriclasse, ma dal fatto che ha tradito. Da qui la gogna, il pubblico ludibrio, la berlina.
Cosa ci racconta questa vicenda in un’ottica manageriale?
Beh, certamente che il ricorso agli alibi (il mercato, la crisi, ecc) non ci porta da nessuna parte. Ma questo, in fondo, lo sapevamo già. Quello che ci racconta di particolarmente rilevante riguarda la sindrome del salvatore della patria.
Quando siamo chiamati a scelte difficili, i nostri risultati sono insoddisfacenti e none riusciamo ad accedere alle nostre migliori risorse, quando non diamo sufficiente ascolto alla nostra voce interiore, quando ci fa paura pare dire atto compiutamente della nostra identità e valorizzarla, cerchiamo le risposte fuori da noi.
"Ora che abbiamo trovato la persona giusta per la direzione commerciale, tutto sarà diverso!" Quante volte ho sentito pronunciare parole di questo genere! L'esito è sempre lo stesso: il povero "addetto alla resurrezione", si sente caricato di una responsabilità insostenibile che lo porterà al fallimento ed anche ad atteggiamenti difensivi e inadeguati o quantomeno a risultati diversi rispetto alle fantasiose aspettative di chi cerca le soluzioni fuori da sé. Nella maggior parte dei casi, la relazione si chiude con una porta che sbatte.
Non esistono i salvatori della patria. Ciò a cui possiamo fare ricorso alberga dentro di noi, nella nostra identità più intima. I nostri collaboratori possono aiutarci, non possono sopperire a strategie infelici.
